La Vignola
Le Stagioni del Vino non sono solo quelle dettate dal trascorrere della primavera, estate, autunno, inverno, ci sono anche quelle dettate dalle generazioni che passano sul quel territorio. Sono quest’ultime che narrano d’umanità, sacrifici, storie e tradizioni. Io mi lascio facilmente sedurre da quei racconti ed accompagnare in epoche storiche dove ad Arquata l’Arte del vino fù sacra.
Ogni vino ci racconta una storia e così io vi narro quella di nonno Francesco e la sua Vignola, per bocca di mio padre, custodita appositamente per il suo Passito a Borgo di Arquata. Ubicata, sopra l’ex pompa di benzina, era la sua meta giornaliera, seppur un posto impervio da raggiungere e coltivare. Siamo negli anni ’60 del ‘900 e ormai sulla soglia degli 80 anni, predicava sovente ai suoi quattro figli maschi quando quella vigna avesse delle peculiarità uniche rispetto alle altre.
L’esposizione, la pendenza, la fertilità e la saggezza di chi ne ha bevuto di vino, promuoveva la paziente cura di essa per ottenere un vino di qualità eccelse. Quell’anno, agli inizi di una delle primavere degli anni ‘60, mio padre non ricorda con esattezza quale, i quattro fratelli iniziarono a zappare la Vignola, un filone ogni due di loro, prima che l’erba rubasse i preziosi succhi alle radici delle viti. Era una vita molto laboriosa ed estenuante e su quella vigna occorreva una doppia zappatura, una grossolana e una seconda per sminuzzare la terra.
Uno dei filoni, non si sa per quale motivo, iniziava ad avere viti secche da sostituire poiché non avrebbero prodotto uva. I fratelli, esausti dalla Zappa, decisero in autonomia di tagliarle per evitare la zappatura e così il giorno seguente si munirono di una sega e si recarono di buona lena alla Vignola per attuare il loro progetto.
Nonno come ogni giorno volle andare a verificare l’operato dei suoi figli e come si accorse della loro idea malsana andò su tutte le furie, imprecando pesantemente verso di loro e minacciando di denunciarli se avessero operato secondo le loro convinzioni. Per settimane non parlò più ai suoi figli, il torto subito era troppo grande da sopportare.
Quelle viti che parevano secche, forse colte per la posizione da una leggera gelata, iniziarono in maggio a “Cacciare” e, da qual momento mio Nonno riprese a parlare ai sui figli. Erano colpevoli di non aver avuto fede verso quella natura spesso matrigna, ma la sola in grado di donargli quel vino speciale e quindi, come lui, magnanime.
Il lavoro su quella vigna iniziava come un rito propiziatorio e finiva a dicembre. Era l’ultima uva ad essere colta, tra il giorno della Madonna, l’8 dicembre ed il giorno di Natale. L’uva doveva appassire naturalmente sui tralci e la raccolta avvenire con accuratezza per evitare la caduta dei preziosi chicchi. Geloso del suo vino, nonostante i suoi acciacchi, tra ottobre e dicembre si recava alla Vignola con maggiore frequenza per evitare che malintenzionati potessero rubare il prezioso prodotto, con qualunque tempo.
Il Passito di Francesco, racconta mio padre, era qualcosa di unico, pochi quintali ma il piacere di farlo sorseggiare ai suoi eletti lo appagava.
Oggi quella vigna non esiste più ed io spero un giorno di ripristinarla, perché bere vino senza i racconti che lo hanno contraddistinto a nascere è un piacere a metà. Il vino rivendica la sua individualità, la sua storia è al contempo esperienza di vita. L’uomo ne è protagonista, il suo farsi non è mai casuale, è cultura e valori da mantenere o recuperare.
Mio Nonno, non l'ho mai conosciuto, ha saputo insegnarmi che la natura ci richiede pazienza, cura ed attenzioni particolari per custodire con saggezza ciò che essa ci ha dato.
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Claudio Di Flavio (sabato, 28 marzo 2020 22:18)
Anch’io vorrei poter ripiantare la vigna di mia madre a Piedilama sulla parte residua della creta, e con mia nipote 20enne che studia chimica vorrei pensare di piantare un vigneto sul cerreto dove ho 10ettari
Vino Pecorino (domenica, 29 marzo 2020 09:17)
Salve, è necessario, a mio parere, tornare ad investire sui nostri territori. Abbiamo vanificato secoli di sacrifici dei nostri nonni ed abbiamo contribuito con la nostra inerzia alla distruzione del nostro paesaggio rurale. Sono necessari fatti e, se non ora quando tornare a credere che un futuro lassù sia possibile?...... Penso che le generazioni tra 30-60 anni debbano fare leva sui ricordi dei loro avi per immaginare e dare impulso al mondo nuovo.